Per reflusso gastro-esofageo si intende il passaggio del contenuto gastrico dallo stomaco all’esofago per alterazione della continenza gastro-esofagea. Nonostante possa essere considerato quasi un processo fisiologico il reflusso gastro-esofageo può divenire patologico determinando la comparsa di danni all’esofago e all’apparato respiratorio. In questo caso si parla di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE).
La MRGE si manifesta con numerosi sintomi tra i quali ricordiamo la pirosi, il rigurgito, il dolore toracico, la disfagia e la scialorrea. Inoltre sono presenti anche sintomi respiratori con tosse, episodi di bronchite e polmonite, asma, raucedine e faringite. Per la diagnosi della MRGE abbiamo a disposizione numerosi esami specialistici quali la pH-metria esofagea, la radiografia dell’esofago, l’endoscopia e la manometria.
Il trattamento chirurgico antireflusso è indicato nelle forme gravi e complicate di MRGE. Le indicazioni comprendono le esofagiti erosive, le stenosi, la metaplasia, ma anche i casi in cui il trattamento medico non dimostri un miglioramento della sintomatologia o in presenza di complicanze respiratorie. Oggi la chirurgia delle reflusso gastro-esofageo si segue sempre per via laparoscopica. Esistono numerose tecniche chirurgiche ma le più utilizzate consistono nel realizzare una plicatura del fondo gastrico. Questa puo’ essere totale (intervento di Nissen) o parziale (interventi di Toupet e Dor).
Le malattie funzionali dell’esofago rappresentano un insieme di disturbi della funzione sfinteriale che interferiscono sulla deglutizione in assenza di ostruzione meccanica. Sono il risultato di alterazioni della funzioene degli sfinteri esofagei superiore e inferiore o del corpo esofageo e includono l’acalasia, lo spasmo esofageo diffuso, l’esofago a schiaccianoci e le discinesie. Dopo accurata valutazione clinica e strumentale tali affezioni possono essere trattate chirurgicamente con tecniche mininvasive.
Il cancro del colon-retto rappresenta per frequenza la seconda neoplasia negli Stati Uniti. Fattori di rischio sono l’età adulta (più del 90% dei casi oltre i 40 anni), familiarità per polipi o neoplasie del colon-retto, una storia personale di colite ulcerosa di vecchia data, polipi del colon o tumori di altri organi, in particolar modo della mammella o dell’utero.
E’ nozione ormai universalmente accettata l’origine della quasi totalità dei casi di cancro colo rettale da polipi benigni, da cui l’importanza della asportazione completa dei polipi quale atto di prevenzione per l’insorgenza del cancro. I sintomi più frequenti sono l’emissione di sangue con le feci e le modificazioni delle abitudini intestinali (stipsi/diarrea), peraltro non specifiche della patologia neoplastica, da cui la necessità di un’accurata valutazione diagnostica. Altri sintomi, quali dolore addominale e perdita di peso sono invece generalmente espressione di uno stadio avanzato della malattia. Poichè molti casi di polipi o di tumori del colon-retto in fase iniziale sono asintomatici, è di estrema importanza a partire dai 40 anni la programmazione di indagini di prevenzione, quali l’esplorazione rettale, la ricerca del sangue occulto nelle feci e la retto-sigmoidoscopia.
Il trattamento curativo nella maggior parte dei casi è chirurgico, a volte con l’ausilio della radio- e chemioterapia. Quando la neoplasia viene trattata nelle fasi iniziali, la guarigione viene raggiunta nell’80-90% dei pazienti, in caso contrario le percentuali crollano al 50% o anche meno. Grazie al perfezionamento delle metodiche di diagnosi precoce e delle tecniche chirurgiche, la necessità di una colostomia (abboccamento dell’intestino alla pelle) si impone in meno del 5% dei casi.
La prevenzione del cancro colo rettale si basa quindi principalmente sull’asportazione completa dei polipi mediante colonscopia, per lo più in regime ambulatoriale. Anche l’alimentazione può giocare un ruolo di una certa importanza mediante l’adozione di un regime dietetico ad alto contenuto di fibre e basso contenuto di grassi animali. Infine, si raccomanda l’attenta osservazione di eventuali cambiamenti nelle proprie abitudini intestinali. Le emorroidi non sono condizioni favorenti l’insorgenza del cancro, ma possono produrre sintomi simili, per cui è necessaria un’accurata valutazione clinica da parte del chirurgo colo rettale.
Il follow-up, vale a dire la valutazione clinica nel tempo dopo il trattamento chirurgico del cancro colo rettale, riveste estrema importanza allo scopo di cogliere e trattare precocemente le manifestazioni della diffusione della malattia in altri organi, in rapporto alle caratteristiche biologiche e istologiche del tumore di partenza e all’efficacia di eventuali terapia integrate (radio-chemioterapia). Altro obiettivo del follow-up post-operatorio è il riconoscimento tempestivo di altri polipi o tumori del colon-retto, evenienza questa che si riscontra in uno su 5 pazienti già trattati per cancro.
La maggior parte delle recidive tumorali compare entro 5 anni dall’intervento chirurgico, e segnatamente nei primi 2 anni, da cui la necessità di un follow-up serrato in questo lasso di tempo. Dopo 5 anni è consigliabile comunque proseguire il follow-up, anche se a ritmi meno serrati, più che altro utile a rivelare la comparsa di altri polipi del tratto colo rettale. In particolare, gli appuntamenti di controllo saranno fissati ogni 2-3 mesi nei primi 2 anni dopo l’intervento chirurgico e consistono nella valutazione del marcatore tumorale CEA (sostanza nel sangue peraltro non specifica della patologia neoplastica), colonscopia, RX torace e, se necessario, la TAC o l’ecografia addominale. I parenti di primo grado dei pazienti con cancro colo rettale (genitori, fratelli e sorelle, figli) presentano un rischio aumentato di sviluppare a loro volta la malattia, per cui è altamente consigliabile sottoporli a periodici controllo colonscopici.
Il trattamento radicale del cancro del retto si identifica con la resezione anteriore o l’amputazione addomino-perineale secondo Miles con escissione totale del mesoretto secondo Heald, procedure tuttavia gravate da una significativa morbilità con sequele funzionali anche molto importanti. Molti pazienti inoltre oppongono un rifiuto psicologico alla prospettiva di una colostomia permanente, in particolare nei casi di tumore del retto basso.
L’alternativa alla chirurgica radicale è rappresentata dalle tecniche di escissione locale, realizzabili in gruppi selezionati di pazienti, che consentono di asportare neoplasie rettali anche voluminose senza aprire l’addome e conservando lo sfintere. Gli adenomi sessili del retto e gli adenocarcinomi rettali di piccole dimensioni al di sotto della riflessione peritoneale possono essere trattati localmente con tecniche conservative, mediante approccio transanale o transsfinterico.
Lesioni di piccole dimensioni del retto basso possono essere escisse con i divaricatori di Parks o di Pratt, al contrario lesioni benigne di diametro superiore ai 3 cm e tumori più prossimali sono aggredibili localmente solo con tecnica di Microchirurgia Endoscopica Transanale (TEM) mediante rettoscopio di Buess.
Viene impiegato un tubo rettoscopico a grande lume con terminale obliquo, in unione solidale ad un braccio articolato ancorato al lettino. Si utilizza una speciale ottica binoculare a visione 50° stereoscopica che conferisce le condizioni della micro-chirurgia endoscopica. Un dispositivo permette di introdurre contemporaneamente fino a 3 strumenti per operare sotto visione. La tecnica prevede la distensione delle pareti con gas CO2 a pressione controllata, l’irrigazione della lente dell’ottica con soluzione salina e l’aspirazione di sangue, secrezioni e fumi.
La calcolosi della colecisti o cistifellea (colelitiasi) è una condizione morbosa molto frequente (10-15% della popolazione adulta) caratterizzata dalla formazione all’interno del viscere di aggregati duri di dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro. Fattori predisponenti sono rappresentati dal sesso femminile, familiarità, età fertile, eccesso ponderale, rapido dimagrimento, uso prolungato di farmaci estrogeni. Nel mondo occidentale i calcoli sono composti prevalentemente da colesterolo e derivano dalla produzione da parte del fegato di una bile satura in colesterolo, il quale, precipitando nella soluzione acquosa, determina la formazione di cristalli, prima, e quindi dei veri e propri calcoli. Il sintomo più comune configura la cosiddetta colica biliare o epatica, caratterizzata dal dolore addominale localizzato nel quadrante superiore destro o alla “bocca dello stomaco”, talora irradiato posteriormente, della durata generalmente non superiore alle 3-5 ore, eventualmente associato a vomito. La colica biliare può regredire in seguito all’assunzione di farmaci antispastici. L’ecografia addominale, esame principe nella diagnostica strumentale della colelitiasi, conferma in questi casi la presenza di uno o più calcoli all’interno dell’organo.
La calcolosi della colecisti può andare incontro a una serie di complicanze:
– colecistite acuta: complicanza più frequente legata all’ostruzione del dotto cistico da parte di un calcolo incuneato per cui il ristagno di bile determina infiammazione o infezione della colecisti (per l’intervento di batteri di provenienza intestinale) con possibile evoluzione verso la formazione di pus (empiema).
– necrosi (gangrena) e perforazione del viscere: sono la conseguenza della progressione del processo infiammatorio-infettivo e richiedono un intervento chirurgico urgente
– calcolosi del coledoco (condotto che porta la bile dalla cistifellea nell’intestino per l’espletamento dei processi digestivi): evenienza che si verifica nel 10-15% dei pazienti con colelitiasi in seguito alla migrazione di uno o più calcoli dalla cistifellea nella via biliare (coledoco) e che può condurre all’ostruzione del coledoco stesso con conseguente ristagno di bile e comparsa del caratteristico colorito giallo della cute e delle sclere (ittero)
– infiammazione del pancreas (pancreatite): la presenza di uno o più calcoli nel tratto terminale del coledoco, laddove esso confluisce nell’intestino unitamente al dotto pancreatico, a sua volta rappresenta un fattore predisponente alla pancreatite, in rapporto ad un meccanismo di reflusso di bile infetta e quindi ad azione irritante lungo il dotto pancreatico stesso.
La colecistectomia può essere eseguita con tecnica tradizionale (mediante un’incisione cutanea che segue il margine inferiore delle ultime costole di destra) o meglio, allo stato attuale, con approccio mini-invasivo laparoscopico, sempre condotto in anestesia generale mediante l’introduzione degli strumenti operativi e di una videocamera attraverso 3 piccole incisioni estetiche sull’addome. I vantaggi della tecnica laparoscopica si evidenziano nella riduzione del dolore postoperatorio, dei tempi di degenza (dimissione programmabile per il giorno dopo l’intervento), una precoce ripresa dell’alimentazione e una più rapida ripresa dell’attività lavorativa. Il rischio di lesioni alla via biliare principale è sostanzialmente sovrapponibile a quello presente con la tecnica convenzionale. Va infine puntualizzato che esiste la possibilità di “conversione” di un intervento di colecistectomia laparoscopica in intervento tradizionale (circa il 5% nelle varie casistiche), specie nei pazienti con quadro di colecistite acuta o in presenza di aderenze per interventi precedenti sull’addome superiore, condizioni che richiedono in ogni caso maggiore prudenza ed una particolare esperienza del chirurgo.